24 maggio 2009
Un ventu chi passa, un'umbra, un nenti...
Terzo incontro di letture mauriane
«Come si è detto in altre occasioni, la concezione della vita in Paolo Maura non può non essere analizzata attraverso lo schermo rivelatore della morte. La morte rievocata nelle sue composizioni è da una parte la sua morte, il compimento naturale di un percorso esistenziale accidentato; dall’altra è da intendere come morte collettiva, quel bagno purificatore dalla tragicità epocale che fu il terremoto del Val di Noto del 1693. La sua intera vicenda artistica e spirituale pare confluire verso questo terribile appuntamento.
In molti, non tutti però come il Maura testimoni in prima persona, hanno descritto il sisma, in molti lo hanno usato come metafora: il Barocco lo vedeva come una condanna della vanità; simbolo, più che causa, di un provabilissimo rovesciamento delle gerarchie e dei valori. Il poeta, come l'artista in genere, ha una percezione altra delle cose, la stessa letteratura consente al poeta d'accedere ad altre verità, ad altre immagini.
Morte collettiva e morte individuale è Il terremoto che distrusse un terzo della nostra isola. La morte, tragedia intima, è l’atto di passaggio verso la nuova vera vita e il punto focale in cui si concentra un’inscindibile vicenda umana fatta di errori e ravvedimenti. È il momento in cui si realizza nella sua pienezza la spiritualità dell’uomo. Nel XVIII secolo da quel sisma rinascerà una Sicilia differente.
Per Réne Thom la catastrofe non evoca l'idea del cataclisma, dell'evento irrazionale, e invece il passaggio da uno stato ad un altro dello stesso sistema, si produce una nuova forma. In altre parole, la catastrofe è un cambiamento improvviso di un processo strutturalmente stabile. Un terremoto, una tragedia intima e personale, sul piano individuale come su quello storico producono adattamenti e acquietamenti. Questa è la morte per Maura.
Nelle poesie di Maura ci sono tutti gli elementi dell’iconografia controriformistica e barocca connessa all’idea di morte. Si ha come la sensazione di trovarsi davanti a un quadro, una vanitas. La vanitas, per chi non lo sapesse, è una natura morta con elementi simbolici, allusivi al tema della fugacità della vita. E nelle ottave di Paolo Maura questo spirito è presente, nei sui versi si confondono nel sapiente gioco di luci ed ombre i simboli della caducità delle cose: fiori dai petali appassiti, echi mitologici, candele spente, orologi impolverati, clessidre mute, «macabri teschi, libri ingialliti e lasciati a metà». Come nelle vanitas, nel sommesso colloquiare del poeta serpeggia inquietante il messaggio del memento mori, della «vanità come apoteosi mondana e l'orrifica morte come transitorietà della vita».
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