9 novembre 1997
La Pethra di Kamuth
Primo concorso per i poeti menenini
«Bisogna essere onesti: l'idea del concorso letterario La Pethra di Kamuth è, specie a Mineo, la meno originale che si potesse immaginare se solo non ci fosse dietro una grande motivazione e una grande passione verso la poesia. Un concorso poetico in un paese, si dice, che respira, che vive di poesia è l'uovo di colombo; un uovo di colombo abbandonato da parecchi anni e nella forma della tenzone poetica da parecchi secoli. Ciononostante riteniamo che La Pethra di Kamuth sia Importantissima al fine di fare il punto sullo stato delle cose, sulla passione menenina per antonomasia: che ne è del poetare alla fine del secondo millennio a Mineo? Innanzi tutto un passo indietro, perché questo nome per il concorso? La leggenda della pietra della poesia, che dovrebbe trovarsi sull'altopiano di Camuti, è arcinota: esiste colà una roccia che possiede, a causa di poteri magici straordinari (secondo II transpositivista Bonaviri grazie "a spire elettromagnetiche di acidi ribonucleici" ecc.), la virtù di donare ispirazione al poeta che vi si sieda e di fare del bimbo nel pancione della madre che vi si accomodi un eccelso verseggiatore. Nonostante i tentativi non si è certi che la pietra sia stata trovata, i biografi di Paolo Maura affermano che questi la ebbe individuata e che costruì su di essa la sua casa di campagna: magia della poesia anche la casa pare sia scomparsa. Un compito per i lettori: chi la scovi è pregato di indicarla con tanto di fogli topografici alla nostra associazione. La storia invece ci assicura che Mineo è stata per secoli il centro di un'intensa attività letteraria di provincia, una scuola trasversale che anche solo istintivamente non sconosceva le regole della retorica e della versificazione: nobiluomini che si dilettavano con i versi (Zuppardo, Amedeo, Ottavio Buglio, Orazio Capuana), borghesucoli campagnoli che, più dotati, sapevano andare oltre i versi agiografici e sterili dei primi (Maura) e la miriade del poeti contadini analfabeti e senza nome che per secoli hanno vivificato questa passione menenina: Mineo, il Parnaso siciliano, ha sfornato per secoli poeti e scrittori senza posa; un motivo viene da pensare, deve pur esserci. Di questa eredità, si diceva, cosa è rimasto? Facendo un distinguo tra poesia dialettale e in italiano e guardando alla prima, a livello stilistico, passatemi la brutalità, nulla o quasi! Tuttora esistono due scuole" Mineo: i poeti che io con grande approssimazione chiamerei mauraniani e gli altri. I mauraniani (credo ne esistano pochissimi, ma erano i vari Monaco, Cassisi ecc.) usavano la rima si, ma usavano e sapevano usare l'endecasillabo e l'enjambement. Gli altri hanno come esperienza la poesia scolastica, si divertono con le rime, oppure non le usano: sono la maggior parte e sono molto vicini a chi poeta in italiano. In definitiva il legame con la tradizione poetica menenina, almeno a livello formale, non esiste più. Però rimane la passione, il legame forte che accomuna i poeti del nostro concorso con i primi poeti, In senso cronologico, di Mineo. La cosa notevole è in ogni caso che la poesia a Mineo è ancora amata (anche se, purtroppo, più fatta che letta o ascoltata); lo attesta il discreto successo della nostra iniziativa e, innanzitutto, la grande varietà nelle tematiche e nell'età dei nostri autori».
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